giovedì 23 luglio 2009

La basilica di Santa Sinforosa a Tibur

Articolo di Gabriella Cetorelli Schivo
La basilica di Santa Sinforosa, situata al Km. 17,400 della via Tiburtina, a circa mt. 50 dall'antico asse viario pressochè coincidente con quello attuale, è oggi costituita dai resti dell'abside e del presbiterio di quella che è stata definita, dallo Stevenson, che vi effettuò estesi scavi alla fine del secolo scorso, la basilica maior, le cui mura appaiono conservate fino all'altezza delle volte.
L'edificio, connesso al culto della martire di Tivoli, Sinforosa, costituisce un importante monumento dal punto di vista archeologico, architettonico e storico.
Le più rilevanti fonti letterarie antiche, infatti, tra cui il Martiriologio Geronimiano e la Passio Sanctae Sympherosae, ricordano il luogo di deposizione del corpo della martire e dei suoi sette figli, al IX miglio della Tiburtina, e riportano la vicenda del martirio della santa, gettata nell'Aniene in suburbano eiusdem civitatis (l'antica Tibur) sotto l'imperatore Adriano.
Menzionata negli itinerari medievali cum multis martyribus, la figura di Sinforosa rileva una spiccata devozione da parte dei pellegrini del tempo, dal momento che le sue reliquie vengono indicate tra quelle da visitare nella città di Roma.
A questa venerazione, iniziata con la pace religiosa come ha più volte sottolineato il Testini, va connessa la costruzione del complesso paleocristiano costituito da due edifici di culto di datazione e forma diversa, simmetricamente disposti rispetto al punto di tangenza delle absidi.
Di questi il più antico, riferibile alla fine del III, inizi del IV secolo d.C., era costituito da una memoria triabsidata di modeste dimensioni (m. 15x19), all'interno della quale dovevano essere state deposte le onorate spoglie. Ad esso, in un periodo posteriore che si può ascrivere tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, venne aggiunta una basilica di dimensioni maggiori, atta ad accogliere la moltitudine dei devoti alla santa. Proprio per esigenze di carattere devozionale si sentì, in tale occasione, la necessità di creare un punto di collegamento tra la basilica maior e la cella memoriae, che avvenne tramite l'apertura, nelle absidi contrapposte, di una fenestrella confessionis, permettendo in tal modo ai fedeli la visione del luogo di deposizione dei martiri.
La basilica maior, preceduta da un nartece, era un ampio edificio di m. 40x20 circa, diviso in tre navate scandite da una doppia fila di sei pilastri e terminante con un'abside affiancata ai lati da due secretiores aedes. Presentava, come evidenziarono gli scavi dello Stevenson, una copertura a capriata, mentre l'interno era decorato da affreschi di cui, al momento dei sondaggi, fu possibile individuare quello dell'abside a "bande e festoni".
Lungo l'abside e nel presbiterio, inoltre, vennero rinvenuti i resti di piccoli fori che hanno fatto pensare ad intarsi marmorei posti fino a tre metri dal piano del pavimento, sormontati a loro volta da una cornie di marmo situata alla base degli affreschi, che dovevano ornare anche la volta.
Abside e presbiterio erano separati da transenne (plaustra) di cui sono state rinvenute le tracce di fondazione. L'illuminazione interna era ottenuta da una serie di finestre aperte lungo il muro della navata centrale, larghe m. 2,20, mentre aperture minori illuminavano le navatelle.
L'area del presbiterio, inoltre, doveva essere priva di finsestre per creare un suggestivo contrasto di luci ed ombre avvicinandosi progressivamente alle tombe venerate.
L'assedio longobardo del 756, che vide la devastazione della campagna romana e delle sue chiese, fu quasi certamente la causa per cui il papa Stefano III, nel 757, fece traslare le reliquie della martire tiburtina e dei suoi figli intra moenia, presso la chiesa di S. Angelo il Pescheria, come riporta un'iscrizione di piombo scoperta nel 1562 (...).
A tale situazione può riconnettersi l'abbandono del complesso paleocristiano e la conseguente fase di spoliazione ad esso relativa.
Abbiamo ancora notizie della basilica nel 944, in una bolla di Martino III ed in una del 991 di papa Giovanni XV. Nel 1124 la chiesa di Santa Sinforosa è ancora menzionata come appartenente al monastero di san Ciriaco di Roma.
Nel 1585 viene ricordata da Marco Antonio Nicodemi tra le rovine del nono miglio della via Tiburtina e nel 1632 il Bosio riporta di aver visto i resti della basilica di Santa Sinforosa e dei suoi figli (...).
Nel 1676 nella pianta (...) di Roma è ancora riportata la menzione di "S. Sinforosa", mentre nel 1737 viene rinvenuta vicino ai resti della basilica paleocristiana sulla Tiburtina, in proprietà Maffei, un'iscrizione, oggi conservata al Museo Maffeiano di Verona, ove sono riportati i nomi di una Cornelia Sympherusa e di sua figlia Claudia Primitiva, databile per i caratteri paleografici al II secolo d.C., che hanno fatto ritenere possibile, allo Stevenson, la presenza di un mausoleo della famiglia della santa al IX miglio della via Tiburtina, anche se l'identificazione di questa Cornelia con la martire di Tivoli non sembra, al momento, sostenibile.
Nel 1745 la basilica è ricordata dal Vulpio come "magnifica struttura" e ancora nel 1828 viene ricordata dal Sebastiani che ne descrive le vestigia.
Nel 1877 lo Stevenson, dopo averne individuato i resti, chiede ed ottiene dal duca Grazioli, allora proprietario del sito, il finanziamento per gli scavi del complesso.
Gli anni che vanno dal 1940 al 1960 hanno visto la distruzione del muro nord e dell'angolo sud est della basilica per la creazione della linea ferroviaria Roma-Tivoli e l'abbattimento dell'intera metà nord della chiesa per pubblici lavori di ampliamento della via Tiburtina. (...)
La lunga fase di frequentazione del sito, che va dal periodo romano al medioevo, come testimoniano le fonti appena ricordate, evidenziano in maniera inequivocabile la grande importanza rivestita dal complesso di Santa Sinforosa presso Tivoli.
Va peraltro ricordato che tra il IX ed il XVII secolo l'area fu anche utilizzata come sepolcreto da una comunità locale, il cui desiderio di trovare sepoltura sotto la protezione della santa testimonia, per un lungo periodo di tempo, la profonda venerazione riservata dagli abitanti del territorio tiburtino alla martire, tuttora protettrice della città da cui ebbe i natali.
La basilica di Santa Sinforosa è, oggi, difficilmente rintracciabile.
Immersa nella campagna romana in un fondo privato, interamente ricoperta da vegetazione infestante nei lacerti sempre più esigui delle originarie strutture, l'antica aula giace, infatti, negletta ed obliata, in un lento ed inesorabile declinare di un lontano splendore offuscato dal silenzio dei secoli di abbandono.

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