domenica 8 agosto 2010

Hera, la Grande Madre del Sele


Aggiungo alcune notizie a quelle già postate circa il Santuario di Hera Argiva alla foce del Sele, in Campania.
Il luogo di culto era molto famoso, nell'antichità, al punto che ne parlarono Plinio il Vecchio e Strabone. Con il tempo si persero le tracce del santuario, che si impaludò precocemente, e già in epoca romana, pur essendo a conoscenza dei suoi passati splendori, si ignorava dove si trovava, un tempo.
La prima ricognizione archeologica del sito si data al 1933, quando l'archeologa Paola Zancani Montuoro ed il suo collega Umberto Zanotti Bianco decisero di concedere fiducia a Strabone ed alle sue indicazioni e si avventurarono nella pianura del Sele. Dopo aver vagato ben due giorni nell'ampia pianura popolata dalle bufale, i due ricercatori riuscirono a ritrovare le tracce dell'antico santuario. Oggi i resti del santuario, a causa dell'insabbiamento progressivo dovuto al bradisismo, si trovano a circa 1,5 chilometri dalla foce del fiume.
Anticamente, però, questo luogo fuori dal tempo doveva veramente rappresentare un locus sacer: vi era un fiume ricco di acque che traversava un luogo in parte palustre, in parte lussureggiante di olmi, pioppi e salici, con un luogo felice per l'attracco di imbarcazioni.
Le oltre settanta metope scolpite, ritrovate nell'area dove un tempo sorgeva il santuario, costituiscono uno dei cicli lapidei più complessi del mondo occidentale antico. Quaranta di queste lastre sono databili al VI secolo a.C. e sono le più antiche, scolpite nella tenera arenaria gialla locale. Esse raccontano le storie di eroi cari alla memoria di molti, studiosi e non: Ulisse, Eracle, Achille, Giasone, Oreste. Due di queste lastre furono trovati, dagli archeologi Zancani Montuoro e Zanotti Bianco, nei pressi di una struttura a pianta rettangolare, identificata, poi, come un thesauros, con una ricca decorazione in pietra ed un corredo di ben 36 metope. La ricostruzione di questo thesauros si può, oggi, ammirare al Museo Nazionale di Paestum.
Ma chi era Hera? La moglie-sorella di Zeus, innanzitutto, regina degli dei e simbolo di fedeltà coniugale. Veniva adorata come fanciulla, protettrice della giovinezza e della crescita dell'uomo e della natura. Ma è anche la solitaria, che si nasconde, si allontana dal marito (chera, vedova) per riconquistare la sua verginità per mezzo di un bagno rituale nelle acque di un fiume o di una sorgente. I suoi aspetti sono collegati direttamente al ciclo naturale: come fanciulla rappresenta la primavera, in qualità di sposa incarna l'estate, come vedova è l'autunno. E questo triplice aspetto le consente di sovrintendere alla fertilità dell'umanità e della natura. In tal modo essa protegge le greggi ed i raccolti; il suo animale sacro è il bue e viene chiamata "la dea dagli occhi di vacca", ma le sono sacri anche il cavallo, il leone, il cuculo ed il pavone.
Come moglie di Zeus è protettrice dell'ordine sociale basato sulle nozze e sulla nascita, per questo Hera sovrintende ai parti, sciogliendo i dolori delle doglie, rende fertile non solo la coppia ma anche il territorio sotto la sua protezione. Il giardino (kepos) è l'ambiente familiare alla dea, ricco e rigoglioso. Il frutto che dai tempi più antichi la rappresenta è la melagrana, i cui mille semi rappresentano, appunto, la fertilità dell'uomo e della natura.
Il culto della dea è attestato in tutta l'Italia antica ancor prima dell'arrivo degli Argonauti, che, vuole la leggenda, furono i fondatori del santuario di Hera Argiva. Il culto della dea era legato soprattutto ai santuari fondati dagli euboici in terra italica ed era connesso fortemente agli scali commerciali: Hera proteggeva, infatti, la navigazione e gli approdi. Modellini di imbarcazioni venivano costruite al fine di propiziarsi una buona navigazione.
Il culto della dea, insegna Omero, era originario della città di Argo. Spesso i suoi santuari erano costruiti sul limitare di boschi, giardini, fiumi, montagne o presso il mare. L'heraion di Argo era posto su un'altura, nella piana dell'Argolide, e di fronte aveva le montagne, c'era il bosco di Hera, dove pascolava il bestiame sacro alla dea, ed era circondato da tre fiumi: Eleutherio, Asterion ed Inacos. L'heraion di Samo si trovava in un bacino paludoso a sei chilometri dalla città, vicino al mare, mentre a Perachora il tempio di Hera Akraia era situato sul lato meridionale della parete del promontorio lungo il porto. L'heraion di Olimpia era circondato da un bosco e due fiumi, l'Alfeo ed il Cladeo. A Metaponto l'heraion è situato in una piana resa fertile dai fiumi Basento e Bradano. A Crotone l'heraion è posto sul promontorio Lacinio, molto visibile da lontano.
Gli Etruschi assimilarono Hera alla loro divinità Uni, i Romani la chiamarono Giunone ed in suo onore istituirono i Matronalia, che cadevano i primi giorni di marzo. L'iconografia più tipica della dea era quella che la vedeva rappresentata con in braccio un bambino. I Romani dedicarono ad Hera/Giunone il mese di giugno, considerato propizio alle nozze.
I doni portati ad Hera erano considerati molto preziosi e non venivano mai gettati via né riutilizzati. Una volta che erano diventati vecchi, venivano sepolti in apposite fosse votive, stipi, o in stanze sotterranee, le favisse. Nel 1936 proprio nell'area del santuario di Hera Argiva venne individuato un deposito votivo formato di cinque loculi contigui. I doni - immagini della dea in terracotta - erano sistemati con molta cura all'interno dei locali. Il terreno attorno ai loculi era anch'esso pieno di ex voto, ma questi apparivano frantumati, ridotti in molti pezzi. Il materiale votivo è stato datato tra la fine del VI ed il III-II secolo a.C..
Nel santuario sono stati rinvenuti due pozzi (bothroi) con altari affiancati che attestano il culto ctonio di Hera in qualità di divinità infera. In questi pozzi sono stati trovati i resti di legna per il fuoco dei sacrifici (olmo e castagno), resti di vittime sacrificate (cani, gatti, capre, galli, piccioni) ed oggetti votivi. Già nel 1934 era stato individuato un enorme scarico votivo in cui furono individuati ben seimila oggetti: testine di varia grandezza e tipologie differenti, statuette di offerenti femminili, busti di donne alcune delle quali recano in testa un fiore, invenzione delle botteghe pestane. Meno numerosi i vasi, raramente figurati ed i piccoli oggetti di bronzo di uso comune. La maggior parte del materiale copre un periodo storico che va dal VI al II secolo a.C..

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