giovedì 14 ottobre 2010

I servitori del sol levante


Il periodo che vede la maggiore fortuna dei samurai è l'epoca Kamakura, che va dal 1185 al 1333, coincidente con la legittimazione dello Shogun, il "generale supremo contro i barbari", quale effettivo regnante del Giappone, mentre l'Imperatore si limitava a rivestire solamente un ruolo sacrale.
Etimologicamente la parola samurai deriva dal verbo "servire" ed era applicata sia ai militari di basso rango che ai guerrieri di alto grado. Con il tempo i samurai divennero un corpo sempre più compatto ed istituzionalizzato, una sorta di guarnigione, obbligati a tenere una vita ascetica e ad esercitare una severissima autodisciplina corporale. Un tipico samurai fu certamente Miyamoto Musashi (1584-1645), che si distinse anche come scrittore e pittore. Era abilissimo nell'utilizzo delle due spade che ogni samurai portava con sé.
Il ruolo del samurai entrò in crisi durante un lungo periodo di pace forzata, più di duecento anni, dal 1603 al 1868. In questi duecento anni, i samurai furono esortati a coltivare arti diverse da quelle militari, come gli studi e la cultura. Nel bushido ("via del guerriero", una sorta di codice della classe militare), la morte al servizio del signore costituiva, per il samurai, l'espressione suprema della lealtà.
I samurai, come i guerrieri occidentali dell'epoca, indossavano una corazza da parata, costituita da placche di ferro e di lacca finemente decorate, con imponenti elmi completati da una maschera di cuoio che aveva, spesso, le sembianze di un demone. Nel combattimento, però, preferivano un'armatura di listelli di bambù estremamente leggera, che permetta libertà nei movimenti. La spada che essi recavano e di cui erano abili maestri, non era utilizzata solo contro il nemico, ma poteva essere utilizzata anche contro se stessi. Il seppuku era il rituale del suicidio del samurai, che gli occidentali conoscono come harakiri. Entrambi i termini hanno il significato di "taglio del ventre", eseguito obbedendo ad una serie di regole estremamente rigide. Il taglio doveva essere praticato all'addome e seguendo uno schema a forma di "L": da sinistra verso destra, poi verso l'alto. La posizione che, in questi casi, si assumeva era quella classica giapponese, detta seiza, cioè seduta sui talloni, con le punte dei piedi rivolte posteriormente. Il guerriero doveva mantenere un aspetto composto ed onorevole anche nella morte.
I samurai medioevali combattevano come arcieri a cavallo, lanciandosi in furiosi duelli con arco e frecce a distanza ravvicinata. Il tiro poteva essere effettuato solo alla sinistra della testa del cavallo. L'arco utilizzato aveva una parte esterna di bambù ed una interna di legno, tenute insieme da colla di pesce e corde di seta o di altri materiali. Lunghi anche più di 2,5 metri, gli archi dei samurai erano asimmetrici, con l'impugnatura a circa un terzo della base. I cavalli montati dai mitici guerrieri giapponesi, erano anch'essi particolari: la loro sruttura fisica influenzò fortemente il modo di combattere dei samurai. In media i cavalli misuravano solo 130 centimentri al garrese. Durante il combattimento a cavallo, il samurai era protetto dalla tipica corazza chiamata oyoroi, formata da oltre 2000 lamelle di cuoio sovrapposte, per un centimetro di spessore e per circa 30 chilogrammi di peso. La kenuki-gata tachi, a noi meglio nota come Katana, era l'anima del samurai. Si stima che, ancora oggi, ne siano conservate ben 3 milioni.

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