sabato 16 aprile 2011

Giochi da... caserma


Nel deposito delle fortificazioni della Legio XX Valeria Victrix, a Holt, sono stati ritrovati pezzi di un tavoliere in ceramica con foglie di edera a forma di cuore, divise al centro da un disegno geometrico, accompagnate da tre dadi. Gli studiosi pensano si trattasse di un gioco chiamato duodecim scripta, i dodici punti. Era una sorta di primitivo backgammon per due giocatori. Ciascuno poteva disporre di 15 pedine, le cui mosse erano regolate dal lancio di tre dadi. Le pedine di questo gioco erano generalmente d'osso e colorate in nero e in bianco oppure in blu e in bianco. Su alcune tavole da gioco giunte fino a noi, i punti dove disporre i pezzi erano indicati con delle lettere. Queste tavole, però, differentemente dai duodecim scripta, contenevano 36 lettere o caselle che formavano frasi intelligibili. Per di più tali frasi erano da connettersi al gioco d'azzardo e la buona sorte o con faccende di carattere militare. Un passatempo popolare tra i soldati era il ludus latrunculorum, un gioco di guerra le cui pedine erano mosse come la torre del gioco degli scacchi. Varrone lo menziona per la prima volta nel I secolo a.C., ma il gioco era sicuramente più antico e derivava dal gioco greco petteia (sassolini) che, secondo Platone, proveniva a sua volta dall'Egitto. Ovidio spiega che nel ludus latrunculorum si catturava una pedina circondandola con due pedine nemiche in orizzontale o in verticale. Erano permessi anche movimenti all'indietro. Le pedine di pietra, talvolta molto preziose, o di vetro di diversi colori erano disposte su tavole dal numero variabile di caselle. Così come era anche variabile il numero delle pedine. Il giocatore che riusciva a mangiare più pezzi vinceva la partita. e, a quanto afferma Vopisco, era proclamato imperator, a rafforzare il carattere e la destinazione militare del gioco. Svetonio scrive che l'imperatore Claudio era così appassionato di dadi che, oltre a scrivere un libro incentrato su questo gioco, aveva fatto predisporre una tavola nel suo carro per poterci giocare durante i suoi spostamenti senza che i dati rotolassero a terra. Ma il gioco dei dadi era diffuso anche tra i soldati comuni. Un paio di dadi in osso sono stati ritrovati nel forte di Birdoswald, in Britannia, su ciascun lato era segnato un numero diverso di cerchi e punti e, nel complesso, non sono così differenti dai dadi che utilizziamo ancor oggi. I Romani possedevano anche un altro tipo di dadi, con soltanto quattro lati segnati, i cosiddetti tali, esempi dei quali sono anch'essi riemersi a Birdoswald. Essi avevano quattro facce piatte contrassegnate dai numeri 1, 3, 4 e 6. Gli altri due lati erano arrotondati e privi di segni. In una partita di tali, venivano lanciati quattro dadi. Ovidio dice che il lancio più alto era chiamato "Venere" (1,3,4,6), mentre il più basso era chiamato "Cani" (quattro assi). Tutti i dadi venivano agitati in una coppa e poi lanciati e lo si vede bene in un affresco di una locanda di Pompei ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Al gioco dei dadi erano collegati dei gettoni del gioco d'azzardo, in osso, con un lato inciso di marcature numeriche. Su alcuni di questi gettoni compariva la scritta "remittam libenter" (restituirò volentieri).

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