martedì 18 ottobre 2011

Il misterioso Mastarna

Tomba François, Eteocle e Polinice
I re di Roma, quasi tutti, hanno una storia piuttosto romanzesca, per lo più tramandataci dalla leggenda, corretta, però, dalle fonti storiche che li ricordano e ne hanno tramandato tradizioni ben diverse dalla storia romana più nota. La fonte più importante certamente è un discorso dell'imperatore Claudio nel 48 d.C., nel quale il sovrano difendeva la richiesta della cittadinanza romana avanzata dagli abitanti della Gallia Comata (l'attuale Francia centro-settentrionale). Claudio, che si dilettava di storia antica, in particolare etrusca, passò in rassegna, davanti al Senato romano, alcune occasioni nelle quali il popolo di Roma aveva accolto benevolmente dei cittadini, fino ad offrire loro le massime cariche istituzionali.
I Galli fecero incidere questo discorso su delle tavole di bronzo. Una di queste fu ritrovata a Lione (Lugdunum) ed ha conservato quasi tutto il discorso imperiale. Da questo discorso gli storici e gli archeologi hanno capito che l'imperatore conosceva una storia ben diversa sulle origini di uno dei "mitici" re della Roma pre-repubblicana: Servio Tullio.
La leggenda vuole che Servio Tullio fosse figlio della schiava Ocresia e fosse stato adottato da Tarquinio su intercessione di sua moglie Tanaquil. Dopo di che, alla morte di Tarquinio, Servio Tullio fu proclamato re, successore del defunto sovrano di origine etrusca.
Claudio, invece, sostiene che Servio fosse l'amico fidato di un certo Celio Vibenna, con l'esercito del quale arrivò a Roma, sul colle che proprio da Vibenna prese il nome di Celio. Etruschi entrambi, Mastarna (questo il vero nome, secondo Claudio, di Servio Tullio) mutò il suo nome in uno più...romano.
La stessa storia è raccontata da Tacito, che narra di un aiuto prestato da Celio Vibenna a Tarquinio Prisco, che gli aveva assegnato il colle Celio. Il grammatico latino Festo conosce un'altra versione che voleva che il vicus Tuscus prendesse il nome proprio dai seguaci di Celio Vibenna e di suo fratello Aulo, entrambi di Vulci. Lo scrittore cristiano Arnobio e il grammatico latino Servio raccontano che il Campidoglio (Capitolium, in latino) avrebbe preso il nome dalla testa di un tal Olo di Vulci (caput Oli), che era stata rinvenuta durante gli scavi per l'edificazione del tempio di Giove.
Nella necropoli di Vulci si trova un'eccezionale tomba dipinta, risalente alla seconda metà del IV secolo a.C., chiamata Tomba François, dal nome dell'archeologo che la scoprì, il fiorentino Alessandro François (1796-1857). Nella sepoltura, ai lati della porta della camera di fondo, vi sono due grandi affreschi: a sinistra è la scena del sacrificio dei prigionieri troiani fatto da Achille sulla tomba di Patroclo. Sono presenti demoni etruschi della morte. A destra è raffigurata un'azione militare che culmina nella liberazione di un certo Caile Vipinas per merito dell'amico Macstrna. Nemici e compagni sono indicati tutti con i rispettivi nomi. Dei primi, addirittura, è data anche la provenienza: Larth Ulthes uccide Laris Papathnas di Volsini; Rasce è raffigurato nell'atto di colpire Pesna Arcmsas, forse di Sovana e Avile Vipinas (Aulo Vibenna) ha la meglio su un biondo guerriero che viene chiamato Venthi Cal[e]. La scena si conclude con il duello finale tra Marce Camitlnas e un certo Cneve Tarchunie di Roma. Quest'ultimo sembra avere la peggio. Il suo nome potrebbe indicare un individuo appartenente all'antica famiglia dei Tarquini, forse persino un figlio di Tarquinio Prisco.
Tornando al discorso di Claudio, l'imperatore fa cenno ad un arrivo, a Roma, di un esercito condotto da Mastarna. E Celio Vibenna? Alcuni studiosi hanno ipotizzato che fosse morto, ma lo scrittore Festo lo dà ancora vivo quando re Tarquinio gli affida il colle del Celio. Altri studiosi hanno pensato, piuttosto, che Celio Vibenna fosse prigioniero.
I fratelli Vibenna, comunque, sembrano essere importanti personaggi nella storia arcaica di Roma. Il fatto che, nel corso degli anni, fossero scomparsi dalle "cronache" non può che indicare una precisa scelta politica e culturale, la stessa che portò all'eliminazione delle prove delle origini etrusche di Roma.
Come se non bastasse, un'altra fonte - il cosiddetto Cronografo di Vienna, datato IV secolo d.C. - afferma che sulla testa ritrovata nelle fondamenta del tempio di Giove era scritto in lettere etrusche "testa del re Olus". Olus è una corruzione o distorsione del nome Aulo, il che potrebbe suggerire l'attribuzione di un rango regale al fratello di Celio.
La tradizione latina insiste sull'origine servile di Servio Tullio, sottolineata, del resto, anche dal nome. L'etruscologo Massimo Pallottino ha analizzato il nome etrusco Macstrna, formato da una radice *Macstar- e da un suffisso *-na, rimandante alla parola indoeuropea magister (maestro/mastro, master, maetre, meister) e già riconosciuto nell'onomastica etrusca, poichè facente parte del cursus honorum etrusco con il termine macstrev su un sarcofago di Tuscania. Lo studioso ha dimostrato che esso significa, letteralmente, "Colui che appartiene al magister". Il termine magister, nel latino arcaico, indicava un capo militare. Pertanto Macstrna/Servio Tullio sarebbe un attendente, un luogotenente, più che un servitore, di Celio Vibenna. E così lo indica anche l'imperatore Claudio: sodalis fidelissimus.
Altri oggetti ritrovati dimostrano la storicità dei fatti che videro protagonisti i fratelli Vibenna. Una coppa etrusca a figure rosse da Vulci, raffigura due satiri ubriachi, uno dei quali reca, in spalla, un otre. Un'iscrizione etrusca, sulla stessa coppa, recita: "avles v(i)pinas naplan", vale a dire "otre di Aulo Vibenna". Su uno specchio di bronzo inciso, proveniente da Bolsena, è raffigurata la scena dell'agguato di Avle e Caile Vipinas al profeta Cacu (forse il mitico gigante Caco raccontato da Virgilio). Il documento più importante, per il valore storico che lo caratterizza, è un calice di bucchero del quale possediamo solo lo stelo, offerto in dono alla dea Menerva nel santuario di Portonaccio nella prima metà del VI secolo a.C. e recante l'iscrizione etrusca arcaica: "mine mulvanece Avile V[i]piiennas", "mi ha donato Aulo Vibenna". Il calice era, con tutta probabilità, un dono votivo offerto dal condottiero vulcente nel suo viaggio verso Roma al seguito del fratello Celio.

Nessun commento:

Antichi rituali di sacrifici umani: l'incaprettamento femminile

Francia, le sepolture neolitiche rinvenute in grotta (Foto: stilearte.it) Uno studio, pubblicato da Science advances , ha portato alla luce ...