sabato 18 febbraio 2012

El Mirador, ciudad sacrada

L'archeologo Richard Hansen a El Mirador
Le comunità più floride dei Maya erano sicuramente poste in Messico e in Guatemala. Una delle città maya più affascinanti e misteriose è, sicuramente, El Mirador, la ciudad sagrada, la città sacra, come la chiamarono gli spagnoli, al confine tra Messico e Guatemala.
La zona è immersa in una foresta talmente fitta che si può camminare per giorni senza vedere la luce del sole. Gli Aztechi chiamarono questa terra, nel loro idioma, Cuauhtemalan, vale a dire "paese dei tanti alberi". A El Mirador arrivò, alla fine degli anni '70 del secolo scorso, l'archeologo Richard Hansen, dell'Università dell'Idaho, unitamente ad altri studiosi. Hansen finì per stabilirsi in via quasi definitiva nell'antica capitale maya, dove scoprì una vera e propria Pompei del Sud America, più grande ancora della città campana.
L'edificio più grande e rappresentativo di El Mirador è certamente una piramide alta 70 metri, poggiante su una piattaforma ampia come tre campi di calcio. Si chiama La Danta e si è calcolato che sono stati impiegati ben 15 milioni di giorno/uomo per costruirla. La Danta, che significa "il tapiro", animale sacro per i Maya, fu edificata tra il 300 e il 1000 d.C., ha una grande cuspide centrale e due laterali più piccole che ricordano la cintura di Orione, simbolo della creazione celeste. Essa rappresentava l'equilibrio del creato, dove ogni cosa aveva il suo posto e dove solo così la pace poteva essere garantita. La Danta era ornata di mascheroni, di fregi e di affreschi che rappresentavano le pratiche sacrificali in uso presso i Maya.
A El Mirador gli archeologi hanno anche ritrovata una stele istoriata con graffiti conficcata nel terreno. I graffiti ammoniscono gli "stranieri" all'entrata della città e appartiene alla dinastia Kan, mitici signori-serpenti di El Mirador.
Hansen sostiene che fu un monarca molto prestigioso colui che edificò i grandi edifici di El Mirador. Fu lui che, sicuramente, riunificò i centri urbani della cuenca, la grande area geografica che comprendeva ben 80 città, di cui El Mirador era la capitale. Per arrivare alla città sacra si percorrono le calzadas dei Maya, imponenti strade larghe fino a 36 metri, che un tempo attraversavano la foresta e venivano utilizzate da uomini e mercanzie. In antico le strade erano ricoperte di calce bianca che le rendeva brillanti anche di notte.
Proprio l'imponente sistema viario ha fatto sì che la civiltà maya si sviluppasse enormemente. Lungo le calzedas viaggiavano ininterrottamente alabastro, conchiglie, ossidiana, giada, mais, cacao e zucche. Sotto La Danta gli archeologi hanno ritrovato ceramiche, lame di ossidiana, fischietti e resti di tamburi, oggetti legati all'attività della grande piramide, alla base della quale stavano spettatori e musici mentre, sulla cima, dei sacerdoti officiavano riti che si concludevano con un sacrificio umano.
Sono molte le piramidi-animali di El Mirador: La Danta, El Tigre, La Pava, Los Monos, Cascabel (in onore, quest'ultima, di un serpente molto simile al crotalo). Là dove erano concentrati questi edifici, tranne La Danta, distante da questo complesso circa 3 chilometri, è stata ritrovata una struttura misteriosa, battezzata "Struttura 34", al di sotto della quale vi è un'altra grande piramide ornata da un mascherone dipinto che fungeva anche da monito per la popolazione. L'edificio, risalente al 500-400 a.C., è ruotato di circa 180 gradi rispetto alla piramide sovrastante, la "Struttura 34", costruita intorno al 200 a.C.. Secondo una teoria, la piramide più antica era orientata verso una certa stella che, nei secoli successivi, si sarebbe spostata nel cielo. La "nuova" piramide, dunque, doveva servire agli antichi abitanti a non perdere l'allineamento con questa stella.
El Mirador doveva essere densamente popolata. L'errore commesso dagli abitanti dell'epoca fu, certamente, quello di non aver gestito con oculatezza le risorse naturali. Pur avendo costruito piscine e canali per convogliare e raccogliere le acque, non si badò al proliferare di piramidi e edifici sacri. Per produrre un metro quadrato di stucco dalla pietra, gli artigiani bruciavano, nei forni, fino a 20 alberi a volta. Nell'arco di pochi decenni, pertanto, si ebbe una preoccupante deforestazione che andò ad aggiungersi ad una progressiva carenza d'acqua. Tutto questo portò a quello che è conosciuto come il primo collasso Maya, nel 150 d.C.. Gli archeologi, a El Mirador, stanno riportando alla luce l'apogeo della civiltà

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