domenica 19 gennaio 2014

Carne umana per gli déi Aztechi

Ossa umane con segni di taglio e di esposizione al sole
(Foto: INAH)
Frammenti di ossa umane recanti tagli ed i segni di una prolungata esposizione al fuoco hanno permesso agli antropologi di stabilire che durante il periodo Post Classico (dal 900 al 1521 d.C.), i governati, i sacerdoti ed alcuni alti personaggi della cultura azteca praticavano il cannibalismo come rito religioso.
I risultati sono emersi dalle recenti indagini condotte dall'archeologo Gabino Lopez Arenas su crani, tibie, omeri e mascelle ritrovate tra le offerte del Grande Tempio e nei dintorni del centro storico di Tenochtitlan. Lopez Arenas ha concluso che i resti umani appartengono ad individui decapitati e poi smembrati. Subito dopo la loro uccisione, le vittime vennero private della carne, come è stato confermato dai segni e dai tagli presenti sulle ossa.
Il cannibalismo aveva lo scopo di assorbire la forza divina rimasta negli organi della vittima. Quest'ultima diventava l'incarnazione delle divinità che rappresentavano, mangiare la loro carne significava condividerne la divinità. A consumare la carne delle vittime erano individui di elevato status sociale, anche se questo non era un pasto comune nella loro dieta. Le parti più apprezzate erano le braccia e le gambe, mentre mani e piedi appartenevano esclusivamente ai sacerdoti e ai governanti, dal momento che avevano fama di essere più deliziose al gusto. Il sangue non era mai consumato, ma veniva offerto alle divinità.
Durante le feste del primo mese del calendario Mexica, diversi bambini venivano solitamente sacrificati per onorare gli dei dell'acqua e della pioggia. Dopo essere stati sacrificati, i bambini venivano cucinati e mangiati.

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