domenica 10 aprile 2016

Un tesoro da preservare: l'Abbazia di Rambona

Cripta dell'Abbazia di Rambona (Foto: prolocotreia.it)
Gli storici pensano che l'Abbazia di Rambona, nelle Marche, sia stata costruita sul luogo dove, in epoca romana, sorgeva un tempio dedicato all'antica dea Bona. Durante gli scavi condotti in questo sito sono state trovate diverse testimonianze di questo periodo: monete, fregi in marmo, un'ara, una base di colonna, due capitelli ed un bronzo.
Bona era una dea figlia di Fauno, il cui culto assumeva caratteri misterici. E proprio il nome di questa divinità rimase nel nome del centro abitato successivo, Rambona, che alcuni studiosi vogliono sia derivato dall'espressione Ra cum Bona, che testimonierebbe anche della presenza, in situ, di un culto egizio. Bona, con le sorelle Cupra e Sibilla, era una divinità ctonia. Tutte e tre le dee erano fortemente connesse all'energia femminile della luna e della terra, al punto che Bona venne collegata al liquido amniotico. Ai piedi dell'Abbazia di Rambona, nascosto da una fitta vegetazione, c'è un fosso chiamato Fosso dell'Acqua Salata la cui composizione chimica è molto simile a quella del liquido amniotico.
Le tre absidi dell'Abbazia di Rambona (Foto: provincia.mc.it)
L'Abbazia di Rambona sorge a poca distanza da Macerata, lungo la media valle del fiume Potenza. Venne costruita tra l'892 e l'898 ad opera della regina longobarda Ageltrude, figlia di Adelchi, principe di Benevento e moglie di Guido, duca di Spoleto e marchese di Camerino. Sembra che il monastero fosse una cittadella con una rocca, dove i monaci vivevano in perfetta autosufficienza, al ritmo della regola dettata da San Benedetto.
Nel 1443 l'Abbazia venne saccheggiata ed incendiata da un capitano di Francesco Sforza. Il monastero venne completamente raso al suolo e la chiesa rimase abbandonata. Neanche il ritorno dei cistercensi, nel XVIII secolo, riuscì a ripristinare l'antica attività cenobitica dell'Abbazia di Rambona. Dell'antica chiesa sono oggi visibili solo il Presbiterio e la cripta.
Uno dei capitelli della cripta dell'Abbazia di Rambona (Foto: Tripadvisor)
La cripta è una sala divisa in tre navate sostenute da dodici colonne poggiate su basamenti diversi l'uno dall'altro, decorate con capitelli medioevali creati mettendo insieme materiali eterogenei e di colore diverso. Sotto la testata della navata di destra è stata scoperta una cella eremitica a pianta rettangolare, accessibile dalla cripta attraverso una piccola apertura. La tradizione vuole che questa fosse la cella dove si ritirava a meditare S. Amico, monaco, sacerdote e abate che dimorò nel monastero attorno all'anno 1000. Si pensa che la costruzione del Presbiterio e della cripta sia legata ai resti di S. Amico, ai quali bisognava trovare degna collocazione.
Amico era figlio del castellano di Pollenza e portava il nome di un soldato di Carlo Magno morto in combattimento e venerato come martire a Mortara. Era raffigurato come un uomo molto alto, per l'epoca, avvezzo all'uso di strumenti agricoli. Un stampa su rame lo rappresenta in estasi, vestito da abate, con un lupo accanto, animale che lo accompagna spesso nelle iconografie. Amico morì a Monte Milone, dove era stato trasportato nell'Ospizio di Santa Maria (forse attuale chiesa di S. Francesco). In seguito la salma venne trasportata a Rambona.
Il ritrovamento più importante avvenuto nel luogo abbaziale è senz'altro un piccolo santuario scavato nella roccia e dedicato al culto della dea Bona: un ipogeo, in sostanza, con corridoio e scala di accesso che, un tempo, comunicava direttamente con la cripta e con la navata centrale della chiesa.
Il Dittico di Rambona (Foto: izi.travel.it)
La parte absidale è l'unica a presentare caratteri stilistici della struttura originaria. La facciata e i fianchi laterali della chiesa, infatti, hanno subito diverse trasformazioni che le hanno portate a modificarsi in abitazioni private. L'originario impianto era a navata unica con una profonda abside accompagnata da due sacelli anch'essi absidati e comunicanti con la navata. La Soprintendenza ha recentemente rinvenuto resti di decorazione scultorea e pittorica nonché elementi architettonici che confermano questa planimetria.
Gli affreschi, restaurati e riportati in parte all'antico splendore, sono databili solo in parte con certezza al XV-XVI secolo. In altri casi gli studiosi sono propensi a collocarli in un ampio arco temporale che dal XIII al XVI secolo.
L'unico oggetto rimasto dell'antico tesoro rambonese è il Dittico di Rambona, due piccole tavole in avorio delle dimensioni ciascuna di 31,50 x 14 centimetri, unite da una cerniera che, un tempo, dovevano essere riposte chiuse. Nella tavola di sinistra vi è l'immagine di Cristo crocifisso. Alla sinistra di quest'ultimo compare l'immagine di Maria, alla destra quella di Giovanni, il discepolo preferito. La croce è piantata su un monte fiorito e Maria indossa le vesti delle imperatrici bizantine. Sopra la croce compaiono le raffigurazioni personificate del sole e della luna, uniche nel loro genere, dal momento che i due astri erano solitamente rappresentati con due semplici tondi. Sotto la croce compare la lupa romana con aspetto feroce, che difende i due gemelli Romolo e Remo.
Nella tavola di destra compaiono due angeli con sei ali accanto al trono dove è assisa la Vergine che sorregge il Bambino. Sotto di lei compaiono i ritratti dei tre santi titolari della Badia: San Silvestro, San Flaviano e S. Gregorio Magno, le mani aperte e sollevate all'altezza delle spalle.
Alcuni studiosi attribuiscono il Dittico - oggi conservato nel Museo Sacro della Biblioteca Apostolica in Vaticano - alla fine del X secolo, momento di particolare vivacità dell'ordine benedettino che andava diffondendosi ovunque, in Italia, ma soprattutto nelle Marche. Secondo Hermanin il Dittico venne commissionato dall'Abate Olderigo ad un ignoto artista romano per il Cenobio di Rambona.

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