martedì 6 dicembre 2016

Malaria, ieri come oggi

Il teschio di uno degli individui analizzati sepolto a Velia
(Foto: Luca Bandioli, Museo Pigorini)
La malaria era una piaga devastante già duemila anni fa, all'epoca dell'impero romano. La malattia fu causa di molte morti in tutta la penisola italiana, proprio come avviene oggi nell'Africa sub-sahariana. Si tratta della malattia infettiva più soggetta ad essere cronica, anche se la sua incidenza, in percentuale, è diminuita al 37%. La malattia è causata da parassiti plasmodium, trasmessi all'uomo attraverso la puntura di zanzare Anophles femmina infettate.
Le fonti storiche scritte alludono ad una febbre che somiglia molto alla malaria che uccise diverse persone sia in Grecia che a Roma, ma finora non era ben chiaro se questa febbre era causata dal parassita plasmodium e quanto fosse diffusa. Una ricerca di un team dell'Università di Mcmaster ha tentato di trovare la soluzione a questo enigma lavorando sul Dna antico. Gli scienziati hanno identificato la prova dell'esistenza della malaria nel Dna mitocondriale estratto dai denti degli scheletri trovati in tre cimiteri italiani e risalenti ad un periodo compreso tra il I e il III secolo d.C.
Sono stati testati campioni appartenenti a 58 adulti e 10 bambini risalenti all'impero romano. Gli antichi resti furono sepolti in tre cimiteri, due dei quali si trovano sulla costa a Velia ed Isola Sacra, il terzo si trova nell'entroterra, a Vagnari. Quest'ultimo in particolare era un cimitero in cui furono sepolti prevalentemente contadini.
Gli scienziati hanno estratto piccoli frammenti di Dna dalla polpa dei denti e sono stati in grado di identificare la presenza del Plasmodium falciparum, malgrado sia trascorso un notevole lasso di tempo. Il parassita ha colpito persone di ambiente e cultura differenti.

Fonte:
ibtimes.co.uk

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